Il 19 Gennaio 1853, al teatro Argentina di Roma, andava in scena per la prima volta, "Il trovatore" di Giuseppe Verdi. E' un' opera strana, non tanto per il suo contenuto quanto per il posto che occupa nella cronologia delle opere verdiane. Dopo aver fatto un enorme balzo in avanti con Rigoletto, in cui tenta per la prima volta, riuscendoci meravigliosamente, di creare un' unione senza soluzione di continuità tra i vari pezzi chiusi del dramma, Verdi, con il Trovatore, compie invece un sostanzioso passo indietro tornando a forme del tutto tradizionali (senza contare che durante le prove di quest'opera, compone La Traviata, che è quanto di piu' distante si possa immaginare da Il Trovatore).
E allora perchè Il Trovatore è un capolavoro? Semplicemente perchè le note, l'orchestrazione, la melodia e il colore, si attaccano ad ogni azione, ogni parola, ogni personaggio e ad ogni risvolto psicologico. La trama, già di per se, sarebbe degna di uno dei primi film horror di Pupi Avati, tra morti per veleno, streghe ( o presunte tali) torturate, bambini arrostiti e teste mozzate. E per ognuna di queste situazioni e dei personaggi che la vivono, non c'è aria, cabaletta o concertato che non faccia rabbrividire per la sua totale attinenza al dramma. "Zumpappà" alla Verdi? Si, certo! Ma è uno zumpappà raccapricciante nel descrivere situazioni raccapriccianti. E perfino dove la musica verrebbe quasi osteggiata dai mediocrissimi versi del Bardare (subentrato dopo la morte di Cammarano), c'è la musica a donargli verità e verosimiglianza.
Soffermiamoci sul personaggio megio riuscito: Azucena! Come ogni protagonista che si rispetti, entra solo nel secondo atto, ma "Stride la vampa" ne da già un ritratto psichico completo. Ossessionata dal trauma di aver visto la madre orribilmente torturata e bruciata sul rogo (il perchè lo sappiamo da Ferrando all'inizio dell'opera, altro capolavoro di atmosfera "dark"), non fa che ripetere, sussurrando a se stessa come un mantra l'invocazione che le lanciò la madre prima di morire, "mi vendica", anche quando la musica in quel momento parla d'altro, estraniandosi come fa chiunque si trovi a combattere in ogni momento con i fantasmi del passato. Un trauma, né più né meno. Lo stesso trauma che, aggiunto alla sua sete di vendetta, le ha fatto compiere un gesto aberrante: rapisce il figlio del conte che aveva mandato a morire sua madre, per bruciarlo vivo a sua volta. Il racconto parte, è vero, con il consueto Zumpappà alla Verdi, che però assume da subito contorni sinistri, come a preludere a qualcosa di indicibilmente terribile, e viene abbandonato proprio quando, da narrazione, la vicenda si fa ricordo vivo nella mente ossessionata di Azucena e si trasforma in un vero e proprio attacco isterico quando la zingara rivela che, preda del delirio di vendetta, aveva buttato nel fuoco non il figlio del conte, ma il suo!! E' musica, è orchestra che hanno letteralmente la bava alla bocca e la bile in gola. Ed è proprio Manrico, che assiste al racconto, ad essere inconsapevolmente quel figlio del conte che doveva essere ucciso dalla Zingara e che invece, proprio lei, ha poi tirato su come se fosse figlio suo. E infatti, quando Azucena riprende il suo controllo mentale e rientra nel ruolo di madre (se pur adottiva e, sicuramente, non scevra da sensi di colpa), la musica e il canto ce la rivelano dolce, affettuosa e premurosa.
Su quest'opera ci sarebbero altre mille cose da dire ma preferisco concludere riallacciandomi al discorso fatto in apertura: la sua collocazione cronologica dopo il Rigoletto e prima de La Traviata.
Sono tre opere che vengono composte tra il 1851 e il 1853 (tre opere in due anni!!). Rigoletto viene composto in un periodo difficile per Verdi e la Strepponi. E' il periodo in cui abitano a Busseto, malvisti e criticati dalla gente di questo piccolo paese per la loro unione non regolare. E' un periodo di forte tensione emotiva, repressa, mal celata. La stessa, forse, che ha il povero gobbo quando deve fare il buffone controvoglia ma è disperasto, o quando dopo la sua esplosione di rabbia contro quei cortigiani vil razza dannata che gli hanno rapito la figlia, è costretto quasi a raccomandarsi tra le lacrime come un mendicante. Ecco. Dopo questa rabbia trattenuta, imbozzolata, la bigotta società che li considera come concubini, ha bisogno di una grande lezione lezione di stile e di signorilità: La Traviata. Ma per far questo ci vuole animo sgombro e sereno. La tensione accumulata va prima convogliata e scaricata. Ecco il perchè de Il Trovatore e della sua collocazione. Il Trovatore è quel fiume in piena di energie negative che Verdi ha accumulato e di cui si deve liberare!
Fatto questo, Il Trovatore è l'opera liberatoria prima di affrontare nel modo gusto e pacato la grande tragedia umana di Violetta e Alfredo.
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